LA REPUBBLICA – Sabato 10 Agosto 2002, pag. 23

Torino, concluso l’intervento di restauro nelle parti danneggiate dall’incendio del ‘500
Il volto nuovo della Sindone: eliminati gli antichi rammendi
Il curatore del museo: “L’aspetto ora è abbastanza diverso da quello cui eravamo abituati,
ma il restauro era assolutamente necessario”
di
Marco TRABUCCO

Un restauro ha cambiato l’aspetto della Sindone di Torino. Sono scomparsi molti dei rammendi che comparivano in varie zone della reliquia, toppe più o meno triangolari che si trovavano a due a due, parallele all’immagine frontale dell’uomo che è impressa sul lenzuolo. E che erano state cucite con perizia dalle suore Clarisse di Chambéry che restaurarono il lino dopo l’incendio del 1532 che aveva danneggiato la Sindone in molti punti.

La notizia è filtrata nei giorni scorsi da ambienti vicini alla Curia torinese, il cui arcivescovo, cardinal Severino Paletto, è Custode ufficiale della reliquia per conto della Santa Sede. E ha suscitato polemiche per il segreto che avrebbe circondato l’operazione. La Curia torinese replica: “Non c’è alcun mistero. Il restauro già effettuato e le analisi che saranno compiute in futuro sono condotte in pieno accordo con la Santa Sede e sulla scorta delle indicazioni emerse dal simposio mondiale che si è tenuto a Torino nel marzo 2000”.

“Fin dagli anni Sessanta”, specifica Gian Maria Zaccone, curatore del museo della Sindone che ha collaborato al suo restauro, “gli studiosi avevano spiegato che sarebbe stato meglio tenere la Sindone distesa e non arrotolata nella preziosa teca in cui è conservata da secoli”. In questo modo si erano infatti generate numerose pieghe sul lenzuolo. L’ultimo convegno ha dato il via definitivo all’operazione. Che si è compiuta in due anni. “Si – aggiunge Zaccone che ha avuto occasione di vedere la Sindone nella “nuova” versione – il suo aspetto oggi è abbastanza diverso rispetto a quello cui eravamo abituati e che i fedeli hanno potuto ammirare nelle ultime due ostensioni, nel 1998 e nel 2000”.

L’intervento più importante è stato compiuto un mese fa da Mechtild Flury-Lemberg, svizzera, esperta in restauri tessili e membro della commissione per la conservazione della Sindone. Il lenzuolo, lungo 4,37 m e largo 1,11 m, è stato spostato dalla nuova teca nel Duomo di Torino, nel transetto sinistro della chiesa. Lì la Flury-Lemberg ha prima sostituito la “tela d’Olanda” cui la Sindone era cucita da oltre 500 anni, poi ha rimosso e ricucito una trentina di rammendi e di toppe, opera delle Clarisse, ma anche di interventi successivi e meno accurati. Per renderli meno visibili, ma soprattutto, spiegano gli esperti: “perché il lenzuolo, per quanto in buono stato, ha subito nei secoli molte vicissitudini e la collocazione distesa provocava nuovi problemi statici e meccanici”. Non un maquillage, dunque, ma un’operazione di recupero e di conservazione. “Bisogna pensare alla Sindone anche come a un manufatto – spiega Zaccone – che, come tale, ha bisogno di questi interventi”.

I risultati del restauro saranno illustrati alla stampa e documentati anche fotograficamente, a metà settembre. Poi inizieranno nuovi studi per cercare di risolvere il mistero del lenzuolo: molte le proposte avanzate dagli scienziati all’esame del Vaticano. Tre i filoni principali: due scientifici, per capire l’età del lino (molti contestano le analisi al carbonio 14 che lo collocano in epoca medievale) e il meccanismo con cui l’immagine si è impressa sul lenzuolo. E uno storico, per ricostruire quando la Sindone segnalata per la prima volta nel 1356 a Lirey vicino a Troyes, in Francia è davvero comparsa.


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